Dedico questo post a mio padre Antonino, reduce di Russia. Mio padre fece parte del Reparto Autieri della Divisione “Julia”, 8° Corpo d’Armata Alpino in Russia, ARMIR, e fu combattente sul fronte del Don riuscendo a ritornare a casa dopo la tragica ritirata dell’inverno del ’42-43. Fu fortunato. Quando il 10 Giugno 1940 l'Italia entrò in guerra mio padre era poco più più che ventenne: era nato a Trapani il 16 Ottobre 1919. Chiamato per il servizio di leva nell'estate del '40, era stato assegnato all'11° Centro Automobilistico di Udine dove venne addestrato all'uso del camion per i trasporti dell'esercito regio.
Udine, Settembre 1940, Anno XVIII
Camion dell'11° Centro Automobilistico |
mio padre in divisa da militare |
Dopo la battaglia di Crimea era iniziata da parte dei tedeschi l’avanzata in
Ucraina e la conquista di Odessa: ricordo che mio padre accennò più volte a
questa città, e sicuramente perché partecipò alle operazioni di guerra di quei
giorni. Fu da lì che in seguito deve avere avuto inizio il suo avvicinamento al
fronte del Don dove si concretizzò la sua partecipazione più attiva da combattente.
Dai suoi racconti di guerra ho appreso cose terrificanti: di combattimenti, di uccisioni, di stenti e di fame che hanno profondamente colpito la mia emotività e quella degli altri familiari. Purtroppo, durante l’ascolto non ho mai preso appunti, segnato date o conservato nomi, e molti particolari sono andati perduti, ma ero inconsapevole che un giorno potessero tornarmi utili (ancora oggi, a distanza di settanta anni, vengono pubblicati postumi manoscritti di reduci di Russia ).
Vagamente ricordo qualche episodio isolato come quando la mattina di Natale del ‘43, assieme ad altri commilitoni, con i quali aveva patito la fame per giorni, si saziò in un campo di cavoli. Subito dopo venne fatto prigioniero. Ebbe più volte l’aiuto della popolazione russa che si mostrò sempre, così diceva, ben favorevole verso i soldati italiani, nonostante fossero nemici. Nei villaggi più interni i russi non sapevano neanche che fossero in guerra e contro chi, anzi chiedevano agli italiani cosa facessero lì! Secondo le testimonianze dei sopravvissuti nel lungo viaggio della ritirata l’aiuto dei civili fu determinante: nelle loro isbe fu possibile ripararsi dal freddo e ricevere un po’di cibo, anche se ne avevano poco pure i russi.
Dai suoi racconti di guerra ho appreso cose terrificanti: di combattimenti, di uccisioni, di stenti e di fame che hanno profondamente colpito la mia emotività e quella degli altri familiari. Purtroppo, durante l’ascolto non ho mai preso appunti, segnato date o conservato nomi, e molti particolari sono andati perduti, ma ero inconsapevole che un giorno potessero tornarmi utili (ancora oggi, a distanza di settanta anni, vengono pubblicati postumi manoscritti di reduci di Russia ).
Vagamente ricordo qualche episodio isolato come quando la mattina di Natale del ‘43, assieme ad altri commilitoni, con i quali aveva patito la fame per giorni, si saziò in un campo di cavoli. Subito dopo venne fatto prigioniero. Ebbe più volte l’aiuto della popolazione russa che si mostrò sempre, così diceva, ben favorevole verso i soldati italiani, nonostante fossero nemici. Nei villaggi più interni i russi non sapevano neanche che fossero in guerra e contro chi, anzi chiedevano agli italiani cosa facessero lì! Secondo le testimonianze dei sopravvissuti nel lungo viaggio della ritirata l’aiuto dei civili fu determinante: nelle loro isbe fu possibile ripararsi dal freddo e ricevere un po’di cibo, anche se ne avevano poco pure i russi.
La lunga battaglia di Stalingrado, nel gennaio-febbraio del ’43, segnò una svolta radicale nella guerra e sia
l’Armata tedesca che quella italiana furono costrette a ritirarsi. Dal fronte del Don la marcia di ritirata fu lunga e
disastrosa perché si verificò in pieno inverno e migliaia di soldati perirono
per questo. Lunghe colonne di prigionieri, tra cui mio padre, a piedi nella
steppa a 40° sotto zero, furono costretti ad avviarsi ai campi di prigionia.
Durante i giorni
del ripiegamento raccontava che i russi spingevano i prigionieri,
costringendoli a tenere le mani alzate, gridando - davai, davai!- (cammina
in russo) e battendoli sulla schiena coi calci di fucile; nelle perquisizioni
prendevano orologi, portafogli, cappotti, scarponi soprattutto se si trattava
di “valenki” (feltro pressato e
incollato a forma di stivaletto che salvava i piedi dal congelamento).
I racconti di mio
padre erano più toccanti sulle sofferenze patite da prigioniero. Come molti
subì un principio di congelamento all’arto inferiore (non ricordo se al destro
o al sinistro). Alcuni prigionieri morirono durante l’interminabile cammino (i
morti venivano lasciati insepolti sulla neve), e una volta anche lui fu sul
punto di cedere: mentre i russi spingevano a forza la colonna di prigionieri
non esitò, completamente privo di forze, a offrire il petto al nemico per farsi
uccidere. Il morale era basso e chi resisteva era mosso dalla fede del ritorno
a casa; mio padre mi confidò che nei momenti più tristi teneva tra le mani la
foto di sua madre (che portava sempre con sé).
Spietati con i
tedeschi (vide soldati disposti in fila per terra con il ventre squarciato), i
russi non furono mai ostili con gli italiani e furono molti gli episodi di
fraternità umana che si verificarono, mio padre stesso ne fu partecipe, ad
esempio quando venne raccolto infreddolito e affamato da una anziana russa
dentro la sua isba che lo riscaldò e lo sfamò per qualche giorno. La
popolazione russa provava simpatia
istintiva verso quei giovani soldati italiani (italianski carasciò-italiani brava gente-, li chiamavano così) per
i quali offriva ospitalità.
Il ritorno dal
fronte russo ha segnato certamente una tappa sofferta nella vita di ciascun
soldato e ogni sopravvissuto deve essere uscito diverso da quella terribile
esperienza. I superstiti, senza ombra di dubbio, compreso mio padre, ne portarono
nel fisico e nell’anima i segni per
tutta la vita. Senza voler dare alcun giudizio, quella della guerra in Russia,
secondo gli storici e non solo, è stata una pagina tremenda di storia: noi
avevamo aggredito la popolazione russa senza motivo, eravamo lì a combattere
contro genti che nulla ci avevano fatto, la guerra quindi fu ingiusta e, per di
più, a differenza della Germania, l’Italia l’affrontò in condizioni non all’altezza
sul piano organizzativo e della preparazione militare.
Per quanto riguarda le perdite, durante la battaglia sul Don la
ritirata (11 dicembre 1942-20 marzo 1943) le cifre ufficiali parlano di 85.000
militari, e di quasi 30.000 tra feriti e congelati che riuscirono a rientrare
in Italia. Il contingente inviato in Russia da Mussolini ne contava 230.000.
Con la distruzione
dell’ARMIR ebbe termine la partecipazione italiana alla campagna sul fronte
orientale. A partire dal 6 marzo i sopravvissuti vennero rimpatriati e gli
itinerari di ritorno alcuni reduci li hanno ricostruiti con particolarità di
dettagli in svariate produzioni letterarie che sono entrate a far parte della
memorialistica di guerra e di prigionia.
In Ucraina era stato costituito un Centro di raccolta a Dnepropetrousk
per reduci e superstiti dell’ARMIR e alcuni di essi furono avviati all’Ospedale
Militare per essere curati: mio padre fu curato di polmonite.
Il viaggio di
ritorno in patria avvenne in treno: dalla Bielorussia attraverso la Polonia , la Rep. Ceca e infine
l’Austria. Delle sfortunate divisioni, la Cuneense , la Julia e la Tridentina che rientrarono in Italia, reduci
dalle steppe russe, qualcuna si ricompose qualcun’altra fu soppressa.
I sopravvissuti
rientrati furono pochi, alcuni andarono a combattere con i partigiani, ma molti
cercarono di tornare a casa. Tutti i reduci rientrarono in Italia dal passo del
Tarvisio, da qui mio padre, dopo essersi fermato a Vienna, iniziò il viaggio di
rientro a casa attraversando tutta la Penisola. Né io né mia sorella siamo riuscite a
ricostruire il percorso di ritorno, eppure deve avercelo raccontato!
Arrivato a Marsala papà
venne riconosciuto e la notizia del suo imminente arrivo venne riferita alla
famiglia che ormai lo credeva disperso. Da Marsala a Trapani (sono 30 km), per
un voto alla Madonna di Trapani, il tragitto lo percorse a piedi. Raccontavano
i miei zii che a casa di mio nonno i festeggiamenti per il ritorno del figlio
reduce di Russia fu un evento: come voto di ringraziamento
nelle famiglie più devote del trapanese era ed è tradizione, per il 19 Marzo, preparare
il cosiddetto “invito di San Giuseppe”. Si tratta di un convito di beneficenza
con numerose pietanze in cui vengono invitati tre bambini poveri che
rappresentano la Sacra Famiglia.
Tengo conservati un bauletto di legno (una specie di zaino che i militari portavano a spalla) e una borraccia (senza rivestimento) che serviva per l'acqua, la pagella scolastica della classe quinta (1930-931, anno IX), in cui risulta che era iscritto all'Opera Nazionale Balilla.
Per una conoscenza completa sui reduci di Russia consiglio: http://www.unirr.it/
Per una conoscenza completa sui reduci di Russia consiglio: http://www.unirr.it/
Nessun commento:
Posta un commento